Uomini bruni, pretendendo due dita a modo di
coltello, mimano uno scontro cruento con movenze di inusitata eleganza.
La musica che accompagna lo scontro e la pizzica-pizzica, dai suoni ora
cupi, ora struggenti, che culminano in un crescendo di straordinario effetto.
Questa musica è ancora eseguita da diversi gruppi di riproposta,
che costituiscono un fenomeno interessante di sopravvivenza delletno-musica-salentina.
E qui, nellatmosfera di questa festa popolare e delle altre
che si svolgono in ogni paese della èprivincia di Lecce, che si può
cogliere lanima salentina: un misto di sapienza, arguzia, cordialità,
ironia.
Nelle feste patronali si scopre una cultura alimentare unica: i dolci, dai
forti aromi orientali, come i fruttoni, i mostaccioli, la copeta
(torrone di mandorle e miele); la preparazione di carne come gli arrosti
di interiora dagnello, i prelibati turcinelli di
cavallo al sugo, i monìcheddhi, ovvero lumache
raccolte durante il letargo sottoterra, ancora mpannate,
cioè sigillate da una secrezione biancastra.
Tutti i piatti della tradizione che si possono trovare soprattutto nelle
putee, trattorie tipiche, autentiche istituzioni della
cucina popolare. Il menù, con il quale i preparativi durano giorni,
è quanto mai sorprendente: spaghetti fatti a mano, conditi con miele
e accompagnati da pesce fritto; un complicato intingolo di baccalà,
pani rotondi con impressi segni misteriosi, dolci col miele a forma di baccello,
che alludono ad antiche divinità egizie. Tutti i piatti la cui origine
rimanda i contatti con i popoli del bacino del Mediterraneo ed oltre, e
confermano il ruolo della cultura leccese come punto di incontro delle più
antiche civiltà.